Ok, di questo primo capitolo esistono tre versioni diverse, ancora devo scegliere quale sia la migliore. Questa è la prima, scritta più di getto e senza tante descrizioni, ma d'altra parte sto lavorando con un personaggio un po' ottuso... e poi capitelo, si era appena svegliato.
* I *
RES
La sirena ci sveglia poco prima delle tre. Scatto
seduto e sbatto la testa al letto sopra il mio: e dire che, dopo quasi cinque,
anni dovrei esserci abituato.
Brevi sequenze di tre suoni gracchianti riempiono
l’aria dell’enorme dormitorio: tre suoni vuol dire un guasto. Un semplice
guasto. Abbastanza grave da farci alzare alle tre del mattino... ma comunque
solo un guasto.
Butto i piedi giù dalla branda e li infilo negli
scarponi. Mi alzo e finisco contro il tizio che si sta alzando dalla branda
della fila opposta e quello che dorme due letti sopra al mio, nel buio, mi cade
praticamente addosso.
Ok, basta.
Il tizio che mi è caduto addosso vorrebbe filarsela
senza farsi vedere: che illuso, nessuno è tanto bravo. La mia mano scatta
fulminea e lo riacchiappa per la maglietta.
Lo fisso in cagnesco, dall’alto.
- S-scusa, amico, non ti avevo visto. – balbetta
agitato: è solo un ragazzino, dev’essere uno di quelli appena arrivati, sedici
anni al massimo, forse meno. Un peso piuma il cui corpo non ha ancora visto il
risultato di questo lavoro. – Davvero, non l’ho fatto apposta! – continua a
scusarsi, i suoi occhi fissano intimiditi i miei bicipiti gonfi che potrebbero
scagliarlo via con un gesto. Non mi piace spaventare i ragazzini, ma è meglio
che i pivelli imparino subito a stare al loro posto o si può finire male in un
lavoro come questo.
La sirena si spegne, sostituita dal ronzio che
precede gli ordini.
Lascio andare il ragazzo, mettendomi in ascolto.
Il messaggio viene ripetuto tutto un’altra volta,
così che nessuno possa rimettersi a dormire e dire di aver capito male, poi
rumori di sottofondo, altri ronzii, e l’altoparlante si spegne.
- Torna a dormire, ragazzino, per stavolta ci
pensano i grandi. – dico al pivello ancora impalato al mio fianco.
Avanzo nella penombra, tra le file di letti a
castello infilando le braccia nelle maniche della tuta da lavoro che mi pende
dai fianchi e me la tiro sulle spalle. Nel farlo assesto gomitate a destra e a
sinistra, nella calca, e in cambio ricevendo borbottii e sonnolenti versi di
avvertimento, ma in fondo molti altri stanno facendo esattamente la stessa cosa
e lo spazio è poco. Alcuni tornano a dormire, gli altri invece camminano nella
mia stessa direzione. Stiracchiano le braccia, si grattano il mento e finiscono
di chiudersi la tuta in un unico fiume di corpi diretto nello stesso luogo,
verso il fondo del dormitorio.
Il bracciale elettronico che ho al polso emette un
bip, riconoscendo l’IP del ragazzo che ora cammina al mio fianco: - Res. – mi
saluta Thro Fayson: ci conosciamo da anni ormai, abbiamo cominciato insieme, in
questo posto. - Ci aspetta un’altra notte di baldoria, sei contento? – scherza
lui, ma io non la prendo altrettanto bene, ho sempre fatto fatica a condividere
il suo spirito, soprattutto appena sveglio. Thro parla sempre troppo, la sua
linguaccia mi ha procurato non pochi problemi, è vero, ma è un bravo ragazzo...
e dove non riescono le sue parole, di solito rimediano i miei pugni. O quelli
di...
Un altro bip: anche Nite Ritkov ci ha raggiunti e risponde
per me alla battuta del nostro compagno di squadra: - Come no! Stiamo proprio
facendo le capriole dalla gioia. - dice passandomi un braccio dietro il collo,
facendomi piegare in avanti sotto i suoi due metri e 27 d’altezza. Sì, anche a
Nite piace parlare appena sveglio e ancora di più il contatto fisico, ma lui è
il mio più vecchio amico e ormai ci ho fatto l’abitudine.
I bracciali identificativi hanno registrato che
nostra squadra è al completo, e questo vuol dire che possiamo unirci alle altre
squadre, davanti ai portelloni di uscita.
Davanti a noi un’altra squadra di tre elementi già
formata si avvicina al portellone di metallo pressurizzato, che collega il
grosso hangar in cui dormiamo direttamente con l’esterno. Uno dei manovali si
volta, guarda le altre squadre: sono molte, ma solo quelle più sfortunate da
essere arrivate alla porta per prime, andranno a lavoro questa notte. La nostra
è la seconda e quindi ci tocca la solita fortuna di qualche straordinario non
retribuito. Un membro della prima squadra si avvicinano alla porta, mettendo
entrambe le mani sulla barra di apertura: - MASCHERE! – ordina e nessuno se lo
fa ripetere. Tiriamo su la zip delle tute da lavoro, fino a che il colletto
nero ricoperto di plastica ci copre il naso e la bocca; con una serie di sibili
attutiti, le maschere incorporate aderiscono alla parte inferiore del viso di
ognuno di noi e si bloccano, cominciando a filtrare l’aria.
Il portellone viene fatto scorrere e noi corriamo
all’aria aperta uno dopo l’altro, prima di richiuderlo in fretta e furia con un
tonfo. Nonostante la maschera ci permetta di respirare senza beccarci chissà
quali malattie, non fa molto per il puzzo tremendo che si respira quaggiù,
all’ultimo livello: tutte quelle stronzate che ci dicevano i primi giorni “Ci
si abitua!” “Tranquilli, tra qualche mese non ci farete più caso!”... stronzate
appunto.
L’unica differenza rispetto a cinque anni fa è che
ora, sono un manovale dei primo settore e qui nessuno si lamenta più, caso mai
ringraziamo di avere le maschere che quelli prima di noi non avevano
“Ringraziate di avere i rampini magnetizzati,
adesso!” “Guardare che una volta scarponi ad attrito graduato se li sognavano!”
“Vedete di non romperle, tra voi e un bel cancro ai polmoni c’è solo quella
maschera!” Il capo direzione lavori non fa che ripetere sempre le solite cose,
dalla mattina alla sera... lo odiano tutti, un raccomandato di merda, dicono: è
stata sua madre a inventare le maschere e la sua equipe le ha inserite in modo
funzionale nel nostro equipaggiamento, circa otto anni fa. Come risultato
immediato, il figlio dell’inventrice ha sorpassato quelli che avevano sputato
sangue per il posto di capo direzione lavori e gliel’ha soffiato da sotto il
naso. Ora è lui a far partire la sirena che ci ha spaccato i timpani questa
notte e quelle precedenti, ed è lui a ricordarci che meno errori si fanno alla
luce del giorno meno se ne devono riparare poi nel cuore della notte.
Sinceramente, non scambierei il suo lavoro col mio neanche per mezzo milione di
rett: talmente odiato e sfottuto da
tutti... mi stupisco che dopo otto anni sia ancora tutto intero.
Attraversiamo la strada avvolta nella nebbia
giallognola che fa sembrare sempre tutto appannato e malato. Da un lato si
estendono i dormitori, edifici bassi, non più di due piani, colorati a seconda
del tipo di operai che ci passano le notti, dall’altro le viscere tortuose e
infinite dell’Alcova: ovvero ciò per cui
ci ammazziamo di fatica ogni santo giorno e non poche notti.
Aspetto che siano entrati tutti e poi li seguo
nell’ascensore di manutenzione, chiudendo la grata di sicurezza. Tre delle sei
squadre scendono dopo solo quattro piani: cercheranno e ripareranno al più
presto i problemi nel condottò d’entrata dell’areazione dell’Alcova, nove
uomini scaricati alla base di quel grosso motore ronzante che sarà grande come
cinque dormitori. Al livello sette scendiamo anche noi tre insieme alle altre
due squadre. Siamo sempre nello stesso motore di areazione, solo qualche piano
più su degli altri, ormai lo conosco bene, la nostra squadra se ne occupa da
tre anni.
I settori di lavoro tra noi operai sono tre: primo,
secondo e terzo settore.
Il mio è il primo settore: uomini dai ventidue ai
trentacinque, i più forti e esperti, in poche parole, i migliori. Il terzo
settore è quello dei pivelli, dai quindici ai vent’anni circa, quelli che di
solito combinano i casini, quelli che vengono lasciati a dormire fino alla
terza sirena, che se suona vogliono dire guai seri; e poi c’è il secondo
settore, quello che tutti sperano di non fare mai: è lì che va a finire chi non
trova un buon posto in un reparto superiore. Sono i più esperti, certo, ma solo
perché lavorano come manovali da... sicuramente da troppo tempo, e nessuno
vuole fare il manovale per tutto quel tempo.
Ricordo che eravamo entrati nella FOSM da due anni
quando io, Thro e Nite venimmo fatti avanzare nel primo settore.
Mi piaceva l’idea di non essere più considerato un
ragazzino alle prime armi e, anche se non sono uno che esulta pubblicamente
come Thro (quel pazzo era uscito dall’ufficio del direttore lavori per ultimo
con un sorriso più grande di una casa, aveva urlato, facendosi sentire da tutto
il quinto piano “Sì, cazzo! Siamo dei grandi!” e aveva abbracciato Nite
stampandogli un bacio sui cortissimi capelli viola cupo. Guadagnandosi un pugno
sul naso e un sorriso, il che voleva dire che quello era il suo modo di
manifestare gioia condivisa e affetto. Io avevo semplicemente dato una pacca ad
entrambi: “Dai, vi offro una cosa.”), ero felice di quella promozione,
dell’aumento sullo stipendio e di poter continuare a lavorare con loro a
qualcosa d’importante, come il motore per il filtro dell’aria dell’Alcova, ma
la poca esaltazione che avevo provato nell’eseguire le nuove mansioni era
sfumata subito, ricordando che, di motori come questo, ce ne sono altri
diecimila. Per ognuno dei quali lavorano circa 570 uomini l’anno. Non ho mai
ragionato su quale enorme numero di individui ne esca fuori.
- Ecco il problema. – Thro indica una trave di
acciaio che si è staccata dal sostegno e ha forato un condotto di cinque metri
di diametro. Lo squarcio sarà lungo due metri e il fumo giallo-verde che sta riempiendo
la stanza non mi dice nulla di buono. - Che vi avevo detto? Ci sarà da
divertirsi! - Se solo anche io potessi prendere così un lavoro di saldatura nel
cuore della notte...
- Sarà stato uno di quei maledetti ragazzini... una
trave di quelle dimensioni non cade per magia. – borbotta uno dell’altra
squadra. E io sospiro, senza dire nulla.
- Dai, diamoci una mossa, o qualche donna vorrà le
nostre teste! – esclama Nite: ridiamo, ma sappiamo tutti che questa è una
possibilità che non può mai essere esclusa.
- Prendo i cavi di traino e salgo su, ci penso io a
fissare la trave. – dico.
- Ce la fai da solo? - chiede Thro, dubbioso: mi
crede un po’ troppo spericolato. Semplicemente mi fido delle mie capacità e,
per quanto i miei amici siano dei bravi carpentieri, io preferisco lavorare da
solo.
- Voi pensate ad agganciarlo e a tirarlo su, lo so
che le altezze non fanno per voi. - ribatto ad entrambi.
- Ha parlato la bimba del cielo! Dì, sei nato sulla
cima dell’Alcova forse? – ride Nite.
- Perché, tu? – lo riprende Thro. – Idiota, siamo
tutti nati lassù!
- Già, e un’ora dopo ci avevano già buttato nel
fondo dell’inferno. – ribatto io.
Infilo un auricolare, sospiro un “play” e, mentre
il lettore musicale mi accontenta, comincio a salire una scala che pare infinita.
Non si capisce niente? Vi sta antipatico il mio protagonista? Volete un disegno che renda l'dea? Please tell me!!
Nessun commento:
Posta un commento