giovedì 14 agosto 2014

Cercando Alaska

Ho cominciato a leggere questo libro ieri mattina e l'ho finito pochi minuti fa, così, per una volta ho pensato di scrivere qualche riflessione "a caldo". Non lo faccio mai, perché preferisco lasciare a decantare tutte le cose che ho "ascoltato" ma non ancora “assimilato”.
Ma eccomi qui a dare le mie impressioni.
All’inizio non mi è piaciuto per niente: lo stile era troppo semplice e in un modo che mi dava un po’ sui nervi. Premetto dicendo che ho cominciato a leggerlo sul kindle, solo perché tempo prima lo avevo scaricato, senza nemmeno leggere la trama, e quindi forse è per questo che lo stile mi ha dato parecchio fastidio all’inizio. Dal titolo mi aspettavo qualcosa di simile ad “Into the wild” e invece mi sono subito ritrovata a pensare “che bello, un’altra stupida storia di stupidi liceali”.
Eppure anche se quei primi due capitoli non mi avevano appassionato per niente (cosa che invece poi hanno fatto  i successivi) c’era qualcosa che mi spingeva a leggere e che non posso giudicare in modo diverso da semplicemente geniale.
Al posto del numero o del titolo del capitolo c’è un conto alla rovescia che parte dicendoti nella prima pagina “Centotrentasei giorni prima” e poi comincia il banale capitolo di questo ragazzetto che deva partire per il college. E anche se non ti piace granché, per tutto il tempo non fai che domandarti “Ma centotrentasei giorni prima di che?” e mentre vai avanti, con questo conto alla rovescia all’inizio di ogni capitolo il punto interrogativo alla fine della domanda non fa che ingigantirsi. Quando ti trovi verso solo metà libro a capitoli dal titolo “Tre giorni prima” ormai sei praticamente sommerso dall’ansia, e capisci che sei stato fregato alla grande da un bravo autore.
Quale sarà questo enorme avvenimento che taglierà a metà la vita del protagonista?
Ad un certo punto (doveva essere il capitolo “Due giorni prima” o qualcosa del genere) il gruppo di cui si segue le vicende è in un granaio e uno che si fa chiamare Colonnello (il mio preferito) accende una sigaretta e subito ho pensato “Ecco fatto, muoiono tutti quanti bruciati vivi.”
Ma forse sono solo le tracce di ansia che mi ha lasciato G. R. R. Martin.
Comunque, per quanto il mio approccio iniziale non sia stato dei migliori alla fine mi ha molto soddisfatta. Non è entrato nella classifica di quei libri che mi hanno cambiato la vita, ma sono comunque contenta che un libro così lineare e dallo schema narrativo e stilistico così semplice sia stato capace di farmi riflettere.
Mi è piaciuto soprattutto come, nonostante sia un libro scritto in prima persona e quindi abbia “un solo punto di osservazione”, riesca a farti cambiare più volte idea su un personaggio e sui suoi comportamenti. Soprattutto è molto bello come il protagonista si rende conto che un suo comportamento che ogni lettore è portato a condividere e a considerare del tutto normale (come isolarsi e essere arrabbiati dopo aver perso una persona cara) possa essere travisato e visto come qualcosa di cattivo ed egoistico dal punto di vista di altre persone.
La frase principale che attraversa tutta la storia è il quesito che questa ragazza, Alaska, pone al protagonista una delle prime volte che lo vede: “Come posso uscire da questo labirinto?” inteso dall’autore della frase come il labirinto del dolore della vita umana. La soluzione a cui giunge alla fine il protagonista nella sua “ricerca di Alaska” è il perdono. Il perdono totale, quello dell’anima, e la certezza di essere perdonati a propria volta.
Per quanto mi trovi in buona parte d’accordo con lui, non posso negare che la risposta che Alaska scarabocchia nel libro da cui aveva preso la domanda, sia molto più d’effetto: Dritto e veloce. E lei ne esce così, anche se non si sa se per scelta o per incidente, dritta e veloce.

Aggiungo qualche citazione, perché dopo i due primi capitoli ho trovato alcune parti anche stilisticamente belle ed evocative.

"- Allora, come si fa ad uscire dal labirinto, Colonnello?
- Ah, saperlo. - disse.
- Difficile che ti diano un dieci per questa risposta.
- E non mi aiuta nemmeno a mettermi l'anima in pace.
- Beh, qualcosa dovrai pur scrivere. - replicai
- Dopo tutto questo tempo penso ancora che l'unica via d'uscita sia dritto e veloce... ma per me è sempre meglio il labirinto. Bell'inculata, il labirinto. Però me lo tengo."


“Alaska finì la sua sigaretta e la gettò nel fiume.
- Accidenti come fai a fumare così alla svelta? - domandai.
Mi fissò con un gran sorriso. Un sorriso così largo che avrebbe potuto sembrare sciocco sul suo viso minuto, se non fosse stato riscaldato da quegli occhi di un verde indiscutibilmente chic. Sorrise come un bambino la mattina di natale, e disse: - Voialtri fumate per il gusto. Io fumo per ammazzarmi.”

“Mi aveva insegnato tutto ciò che sapevo si granchi, sui baci, sul vino rosé e sulla poesia. Mi aveva cambiato.”

“Katie venne alla porta: - Io non ti perdono. -  E malgrado fra me e Katie non ci fosse tutta quella confidenza, mi sferrò un cordiale calcio nelle palle.”


“All’uscita dopo scendemmo. Schivando le altre automobili ci mettemmo vicino alla macchina, uno di fronte all’altro, e io lo abbracciai, le mani chiese a pugno dietro le sue spalle, lui mi prese fra le sue braccia tozze e strinse forte, tanto che sentivo il suo petto sollevarsi e abbassarsi, mentre a ogni istante ci rendevamo conto di essere ancora vivi. Era una consapevolezza che arrivava a ondate, e noi restammo lì abbracciati a piangere e pensavo: “Dio, che figura da smidollati.” Ma non ha molta importanza quando hai appena scoperto, dopo tutto quel tempo, che sei ancora vivo.”

"Alle brutture si può sopravvivere, perché noi siamo invincibili nella misura in cui crediamo di esserlo"

venerdì 11 luglio 2014

In Anima e ius Vita - Capitolo 2.0

*II*
RES


- A un altro meritatissimo fine settimana! – il primo brindisi di Thro fa schifo come tutti i venerdì sera, ma in fondo se non ci fosse lui a sparlare e fare le figure di merda qualcun altro dovrebbe farlo al posto suo... e poi dopo quattro o cinque birre migliorano.
Gruppo forse è una parola grossa, dato che siamo in tre, la nostra squadra, e finiamo i venerdì notte nello stesso bar da quasi cinque anni.
È un ottimo posto, mai troppo affollato, non così vicino al dormitorio centrale da attirare troppi operai, né troppo distante dalla stazione che mi riporta a casa nel fine settimana.
- Al letto di casa mia! – riabbatte Nite, battendo il primo boccale di birra contro quello dell’amico.
Poi mi guardano tutti e due. Io sospiro e mi chiedo ancora perché mai continuino ad aspettarsi che io partecipi a quella stupida... Nite mi rifila un pugno di avvertimento nelle costole e la sua solita occhiata da fratello maggiore, come se mi stesse dicendo di comportarmi bene a tavola e di non fargli fare brutta figura. Alzo la mia bottiglia di rossa guardandoli in cagnesco: - Alla tranquillità e al silenzio di casa mia, che fortunatamente è molto lontana da qui. Alla vostra! – dico bevendo.
- Simpatico come Nettare scaduto, proprio! – sentenzia Thro, guardandomi allo stesso modo: sa benissimo che la parte sul silenzio era indirizzata a lui.
- Rumoroso come un bordello nell’ora di punta. - ribatto io, sorridendo dietro a una sorsata di birra.
- Già... perché lo sopportiamo? Siamo in due, siamo carpentieri... io dico che ce la facciamo a farlo sparire. – Nite: non è la prima volta che scherza sulle minacce di morte. Ogni tanto mi chiedo se preoccuparmi. Invece mi sfugge un sorrisetto mentre abbasso la bottiglia sul tavolo.
- Ve lo spiego io perché mi sopportate ancora. – propongo.
- Oh! Quindi ammetti di essere uno stronzo insopportabile? – ribatte subito Thro: è dura da ammettere, ma forse, dico forse, nella nostra squadra è il più sveglio... o semplicemente quello più svelto con le parole. Tra di noi, in questa città in particolare, non sono granché apprezzati quelli come lui: quelli troppo svegli, quelli che rispondono sempre in modo un po’ troppo intelligente, insieme a quelli che a scuola rispondono sempre a tutto o capiscono tutto al volo... beh, per molti non c’è motivo migliore che prendere a pugni qualcuno.  Tutte le volte che Thro fa una battuta che mi sembra un po’ troppo acuta, che gioca troppo con le parole, mi viene da pensare che non deve aver avuto vita facile da ragazzino, quando non era ancora grosso abbastanza da difendersi. Poi invece mi ricordo di tutte le fortune che gli sono piovute dal cielo e tutta la mia possibile solidarietà verso il suo passato scompare.
- Beh, allora dai, sentiamo! – fa Nite, con una manata sulla mia spalla, come se stesse spingendo un grosso bottone con scritto play. Io per un momento non gli rispondo, troppo preso dai pensieri. – Parlo con te, smettila di fissare la birra, guarda che non scompare per magia. - riprende lui sbatacchiandomi un po’, io me lo scrollo di dosso  e mi riscuoto, cercando di ricordare quello che volevo dire, ma non mi torna in mente.
- Mi sopportate perché... intanto questo lavoro ve l’ho fatto ottenere io.
- Vero. – approvano quasi all’unisono, ma dalle loro espressioni pare che non sia una motivazione sufficiente.
- Non faccio mai cazzate.
- Ma che modestia! – sorride Nite.
- É la verità. – dichiaro senza scompormi minimamente.
- Io avrei da ridire... – fa Thro guardandomi strano attraverso il vetro spesso del secondo boccale. Il suo sguardo mi ricorda qualcosa che avevo faticato secoli a dimenticare e da cui avevo imparato una lezione importante, al liceo: mai assecondare qualcuno solo perché dice che non hai le palle per fare una determinata cosa. Specialmente se quella cosa riguarda dell’erba confiscata da recuperare nell’ufficio del preside della scuola... dopo averla recuperata sarebbe bene andarsene subito, non fermarsi a fumarla con quel cretino del figlio del preside, finendo col ritrovarsi sua lingua in bocca mentre il padre rientra.
Thro, alle spalle del preside, aveva fissato le mie pupille dilatate per il fumo e il mio colorito che lentamente cominciava ad assomigliare a quello dei miei capelli, poi aveva osservato l’espressione stralunata di quell’idiota di Jeam Liith e per poco non era scoppiato a ridere: lui doveva essere punito per una semplice rissa, a giudicare dal labbro spaccato, ma a quel punto la cosa era passata totalmente in secondo piano e lui aveva semplicemente fatto dietro front prima che il preside cominciasse a sclerare di brutto. - Molto carino come nostro primo incontro, ricordi? Io quella la classificherei come la cazzata della storia.
- Nulla che non abbia risolto da solo. – lo blocco immediatamente: preferisco che Nite continui a pensare che mi hanno sospeso perché ho picchiato Jeam... cosa che in effetti ho fatto, dopo averlo baciato. O era stato lui a baciare me... beh, comunque meglio non rivangare certe cose. – E poi... - riprendo, per cambiare discorso.
- Ancora? - sospira Nite.
- E poi vi paro il culo quando c’è da fare qualche lavoretto troppo in alto per voi cagasotto.
Thro alza le mani e Nite sbatte il boccale sul tavolo: - Hai vinto, ci servi, non ti uccidiamo.
- Grazie, voi sì che siete dei veri amici... Anche se siete dei cagasotto.
- Ehi, bimba del cielo, falla finita. – niente battute né parolacce in questa frase: devo averlo fatto irritare. Niente di nuovo, non gli piace molto che si scherzi sulla sua paura delle altezze. “Non delle altezze” mi ringhia addosso tutte le volte che lo dico “Dei posti in bilico, con pochi appigli e a mortale distanza dal suolo.”
Sarà che questa sera mi sento un po’ più annoiato del solito o sarà il fatto che è appena arrivata la mia terza birra. Fatto sta che lo guardo fisso, con un sorrisetto di superiorità, e porto le mani dietro al collo, grattando con noncuranza le punte ossee che spuntano dalle scapole: sono queste che mi hanno valso il soprannome “Bimba del cielo”, non solo il fatto che mi senta piuttosto a mio agio su strutture traballanti. Per qualcuno potrebbe essere un soprannome irritante, ma in realtà non lo è affatto: quello che ho sulla schiena è qualcosa di cui andare fieri e... beh, vantarsi non fa mai male.
A quella mia mossa, Nite sbatte un pugno sul tavolo e mi guarda in cagnesco: - Stasera questo cerca la rissa. - dichiara con la sua potente voce bassa e qualcuno dal bancone butta un occhio verso il nostro tavolo, sperando in un po’ d’azione, forse.
- Su non fare il geloso. Non puoi mica strappargliele dalle spalle. – borbotta Thro, prendendolo per una spalla e tirandolo di nuovo a sedere. – Se cerchi un po’ di contatto fisico comunque io ci sto! - Eccolo, l’attacco della serata: Thro non riesce a fare a meno di trovare allusioni sessuali ovunque, soprattutto perché sa che a Nite da così fastidio.
Nite, infatti, guarda male anche lui, ma alla fine si rilassa sulla sedia, borbottando: - ‘Fanculo, sai che me ne faccio di un cimelio preistorico da mostrare in giro!
Non ribatto. Non c’è nulla da dire, è la verità: in fondo, quella che ho sulle spalle non sono altro che una bella eredità senza valore. Sono servite a rimorchiare qualcuno, quelle poche volte che c’ho provato, quello sì, ma la loro utilità finisce tutta lì.
Sono solo ciò che rimane di quelle che una volta erano ali.
Almeno così ci hanno insegnato a scuola: da bambino non so quante volte mi sono trovato ad alzare la mano, quando gli insegnanti di scienze chiedevano se qualcuno aveva ancora delle punte ossee alari sviluppate. E poi dovevo alzarmi in piedi, sfilare la maglia e mostrarle... le elementari in fondo sono un periodo tremendo per tutti. Una volta, a quanto sembra, anche noi uomini avevamo le ali. I Rakut discendono direttamente dagli uccelli, secondo la teoria dell’evoluzione, e quindi una volta avevamo ali gigantesche, ossa forate, un peso non superiore ai 50 kg e un’altezza inferiore ai 165 centimetri.
Quando a scuola te lo dicono per la prima volta, quasi tutti scoppiano a ridere. Ma a quanto dicono è vero, le donne l’hanno studiato a lungo: è un dato di fatto, per quanto possa sembrare irreale. Oggi non è rimasto nulla di queste caratteristiche, in noi uomini: abbiamo ossa spesse, piene e resistenti, e superiamo i 165 cm a dieci anni. Per non parlare del peso, che sarebbe già due volte tanto, senza contare i muscoli che la maggior parte della popolazione sviluppa con i lavori manuali o lo sport.
Tutto quello che ci rimane di questo lontanissimo passato da esseri del cielo sono dei sovrossi al posto delle ali all’altezza delle scapole e, per i più fortunati, come il sottoscritto, due punte ossee di 5 o 6 cm.
Quello che è ancora più incredibile, comunque, qualcosa che nemmeno adesso sono del tutto sicuro essere vero, è che questi fantomatici antenati alati non avevano bisogno di Nutrimento.
Qualcosa di totalmente inconcepibile: vivere senza Nutrimento... come dire che vivevano senza respirare! Per questo a mio parere è solo una cazzata che raccontano per stupire i bambini.
Mi perdo qualche chiacchiera sui tornei della stagione e su dove andare dopo: tanto, con quasi quattro ore di treno per arrivare a casa, non credo che mi unirò a loro. Mi sento davvero troppo stanco per stare in piedi tutta la notte, è stata una settimana tosta: quattro guasti solo nel nostro dipartimento... qualcuno verrà sicuramente licenziato la prossima settimana.
Entrano cinque ragazzi dalla porta del locale e io li seguo distrattamente con lo sguardo.
Sembrano di buon umore, almeno quattro di loro, quello al centro invece ha il viso teso e giallognolo, anche se cerca di tenersi un faticoso sorriso sulla faccia. Viene praticamente sospinto dagli altri quattro verso il bancone.
Il barista alza un sopracciglio, osservandoli critico.
Uno dei ragazzi, si appoggia al banco.
- Un giro di Zacapa per tutti  – esclama allegro.
- Solo uno? – chiede il barista, tirando fuori da sotto il bancone la bottiglia di rum: tanta allegria va tenuta alta da più di un bicchiere a testa.
Un altro dei quattro prende la parola, ha i capelli viola chiaro quasi a zero e un sorriso che gli va da un orecchio all’altro. Sventola una fiala davanti al naso del barista, e con l’altro braccio circonda le spalle dell’amico malaticcio.
- Prima le cose serie, la festa vera comincia tra un’oretta.
- Ok, ragazzi, andatevi a sedere, ve le porto. Ben tornato in carreggiata, bello. – dice il barista a quello malato. Lo vedo arrossire un po’ guardando a terra e ringraziare a voce bassa, sembra sfinito.
- Che esibizionisti del cazzo. – sbotta Nite mentre passano di fianco al nostro tavolo, con l’intento di farsi sentire. Si becca qualche occhiataccia, ma sono tutti troppo felici per dargli corda e attaccar briga.
- Un amico che stava per morire, torna a vivere. Saresti felice anche tu. – obbietta subito Thro, sempre pronto a ricordare al mondo che amici e famiglia sono una cosa seria. Come se ci fosse davvero qualcuno pronto a ribattere.
- É chiaro che sarei felice, ma non per questo si deve organizzare una festa ancora prima che si regga di nuovo in piedi da solo. Insomma, se qualcuno mi stesse così appiccicato quando mi nutro, finirei per saltargli addosso.
- Ambiguo... – ridacchia Thro.
- Ti prego, non ricominciare. – sospiro io, buttando indietro la testa.
- Che ho detto?! – fa Thro allargando le braccia.
- Lo sai. E comunque Nite ha ragione. Non si pressa così uno che sta per cambiare Nettare.
Thro scuote la testa: - Ma non diciamo cazzate, un cambio obbligato quando non ci si nutre da così tanto come quello lì? ... non è una cosa che si affronta bene senza qualcuno vicino.
- Perché, tu che ne sai? – chiedo, un secondo prima che lo faccia Nite in tono ben più irritato del mio.
- Ho due sorelle e una zia, non credere che sia facile passare dal nutrimento di una a quello di un’altra e io lo faccio sa sempre... per non parlare dei loro continui sbalzi d’umore.
- Un tratto di famiglia. – sorrido, cercando di sdrammatizzare.
- Continua a pure a sfottere, ma non mi cercare se...
- Ehi! – lo interrompe Nite. – Cerca di non attirare la sfiga. Non abbiamo tutti due sorelle e una zia pronte a nutrirci, sai?
Il discorso viene interrotto da un accesso di tosse violentissimo, seguito da un paio di bicchieri che si frantumano al suolo.
Ci voltiamo verso il tavolo dei cinque ragazzi in tempo per vedere quello malato che rovescia gli occhi all’indietro e l’inizio delle prime convulsioni. Poi gli amici gli sono addosso e lo bloccano con i loro corpi. Uno dei quattro urla a un altro di tenergli la lingua. In quello stesso momento Nite si alza di scatto e afferra la giacca: - Che cazzo! Lo dicevo io che non sono cose da fare in un bar.
Mi riscuoto, alzandomi: - Andiamo via. – concordo.
Thro ci guarda entrambi come se fossimo delle ragazzine troppo impressionabili, ma poi ci segue fuori dal locare.
- Ehi, tutto bene? – chiede battendo una pacca sulla spalla di Nite che potrebbe abbattere un palazzo. Nite lo spinge via, senza riuscire a far funzionare l’accendino per il nervosismo: - ‘Fanculo! – non so bene se lo ha detto a Thro o all’accendino, ma uno ha ritirato la mano e l’altro è appena finito in mille pezzi contro un muro.
Rimaniamo tutti e tre in silenzio per qualche secondo.
Poi Thro prende di nuovo la parola: - C’è una discoteca da queste parti... scarichiamo un po’ di adrenalina, eh Res? – rieccolo il tono malizioso che non lo abbandona mai del tutto.
Prendo la mia ultima sigaretta da dietro l’orecchio e l’accendo. Tiro due boccate e poi la passo a Nite che ne ha decisamente più bisogno di me. Lui mi guarda come gli avessi passato l’ultimo goccio d’acqua in mezzo al deserto e mi chiede se sono sicuro, io rispondo con un’alzata di spalle: - Io sto smettendo. – gli dico, tanto per mascherare un favore gratuito che altrimenti mi sembrerebbe troppo... intimo. - Me ne torno a casa, l’ultimo treno passa tra poco.
- Come al solito. – sospira Thro deluso. – Tu che fai, Nit?
- Non mi va di ballare.
- Andiamo! Nessuno va lì veramente per ballare! – sorride enigmatico Thro. – Non cercavi un’occasione per una “rissa”?
- Intendevo letteralmente. – borbotta Nite tra i denti.
Thro continua a sorridere, alzando le mani: - Ognuno si sfoga come crede..
- Niente ossa rotte, pero. – li ammonisco blandamente. – Non voglio fare anche il vostro lavoro.
- E tu vedi di arrivare ad un orario decente lunedì, capito campagnolo?
Non rispondo, mi limito a un cenno con la mano e poi mi volto, cominciando a camminare verso la stazione.