lunedì 16 maggio 2011

Pensieri sul film "Amami se hai coraggio"


Salve! Non scrivo su questo blog da più di due mesi e non posso fare a meno di giustificarmi usando la scusa più vecchia del mondo: non ho avuto tempo. Naturalmente non è solo una scusa, ma anche la verità, e anche il tempo che ho trovato oggi in realtà lo sto rubando da quello che dovrei impiegare a scervellarmi sul proseguimento del mio libro o ancora meglio a studiare biologia. Tuttavia, dato che nessuna delle due cose sembrava riuscirmi questo pomeriggio, mi sono messa a fare la cosa più inutile che potessi fare: guardare il primo film che mi ispirasse, anche solo un pochino, e che quindi mi salvasse da un pomeriggio di ripasso sul DNA.
Ad ogni modo, il film che ho pescato praticamente per caso, si è rivelato molto più bello di quello che mi sarei mai aspettata. “Amami se hai coraggio”, titolo originale Jeux d'enfants (non capirò mai perché in italiano le traduzioni dei titoli siano sempre così diverse dagli originali) è un film che racconta la storia di due bambini, Julien Janvier e Sophie Kovalski, l’uno con una madre malata terminale e l’altra costantemente messa da parte e presa in giro per le sue origini polacche. I due bambini iniziano un gioco che durerà per tutta la loro vita, diventandone il tormento e l’unico vero divertimento. Questo gioco, consiste nell’affrontare qualsiasi sfida l’altro proponga, per quanto sia sbagliata o imbarazzante. Premio, una scatola di latta decorata, che i due considerano un tesoro. Chi vince la sfida prende la scatola e può a sua volta imporre all’altro una sfida. Sin da piccoli le prove a cui si sottoponevano a vicenda sono assurde e pericolose, ma, con la crescita lo diventano sempre di più, tanto che entrambi rischiano più volte di farsi arrestare, distruggere completamente le loro vite sociali... morire...
Tutto naturalmente comincia a cambiare quando al gioco si mischia l’amore e le incomprensioni tra i due amici, che non sembrano più in grado di capire dove inizia e finisce il gioco, si aggravano fino a portarli più volte alla rottura. Prima non si vedono per un anno, poi per dieci anni, ma alla fine nulla cambia e non c’è modo di uscire dal gioco, come se quella regola non esistesse.
In breve è la storia di due persone che non riescono a smettere di giocare, di rimbalzarsi la palla della sfida, anche in quello che mai dovrebbe essere messo in gioco, ma come nel gioco non c’è fine, così non ci sono regole né limiti alle sfide e tutto quello che si può pensare può essere fatto.
Per molti versi lo si potrebbe annoverare ad una storia di dipendenza, in questo caso, di dipendenza dal brivido e dalla follia, dall’ossessione per il Gioco e per la persona che rispecchia ed incarna la stessa follia dell’altro.

Sinceramente ho trovato questo film geniale e stravagante come pochi, vi si legge in modo chiaro l’impronta del suo regista Yann Samuell (ricordato maggiormente per “Il favoloso mondo di Amelie) e l’eterna e onnipresente canzone “La vie en rose” domina il film dall’inizio alla fine, spesso accompagnando dolcemente scene tutt’altro che dolci e dando l’impressione di un amaro di fondo, nonché un senso di grottesco.
Non riesco a spiegare meglio come e perché questo film mi abbia colpito, ma se qualcuno dovesse vederlo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa!

3 commenti:

  1. Se ti è piaciuto questo film, dovresti vedere "il cigno Nero"...

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  2. e' una figata, il barattolo ce l'ho mi manca una donna con le palle
    ari

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  3. Yann Samuell con "il favoloso mondo di Amelie" non centra proprio niente

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