venerdì 2 settembre 2011

Kallwen

Aveva qualcosa di esotico, forse nello sguardo, forse nel modo di muoversi, qualcosa che sembrava non appartenere a questa terra.


Questo era particolarmente visibile quando, di sera, lo si trovava in un angolo, immobile e serio, come un’austera statua di marmo che ritrae lo sguardo severo e al contempo fiammeggiante di un guerriero.
In quei momenti, nessun tipo di emozione infrangeva, anche solo per un secondo, la sua rigida presenza.
La sua anima, persa nel ricordo doloroso del passato o in quello ancora più incerto e struggente del futuro, appariva sempre diversa, sempre pronta a mutarsi e ad adattarsi alla situazione.
Cosa strana per chi, come lui, aveva passato tante sofferenze e che generalmente avrebbe teso ad indurirsi e a non aprire mai più il suo cuore agli altri.
Egli però era diverso. Talvolta, la sua improvvisa vitalità e voglia di giocare ti sorprendeva e la luce di gioia che sembrava emanare ti coinvolgeva il modo così totale e completo, che quasi lo si temeva per questo suo potere sulle emozioni della gente. Poiché spesso, come tanto in fretta si rallegrava, così, ancor più in fretta, la sua allegria si spegneva, e lui tornava ad occuparsi di faccende cupe. E allora era come perdere una stella, una luce gioiosa che ti aveva guidato con sicurezza, e poi improvvisamente era sparita, inghiottita di nuovo da un’oscurità sempre più grande.
Altre volte ti sorprendeva con cose che solo lui poteva fare, ed era fin troppo chiaro che come un bimbo che impara a dire una parola nuova, voleva essere lodato, per potersi sentire almeno un po’ orgoglioso di se stesso, della sue origini nordiche così particolari e dell’importanza che il suo nome gli imponeva di portare e di cui non sempre invece poteva andare orgoglioso.
Ma quello che certamente lo caratterizzava meglio era l’accanimento, quasi spasmodico, con cui soleva interessarsi a qualcosa. Non accettava un solo fallimento da se stesso, non riusciva ad accettare di non poter capire qualcosa, che fosse relativa al suo lavoro o semplicemente per svago. Quando trovava qualcosa da studiare, lo si vedeva sparire per giorni nella sua camera, senza che staccasse neanche una volta gli occhi dall’oggetto del suo interesse e si sapeva che ne sarebbe uscito vincitore, oppure, e non era una cosa rara, qualcosa di più grande, di più unico faceva breccia come un lampo nella sua strana testa bionda e improvvisamente, l’oggetto del suo primo interesse veniva abbandonato in un angolino remoto, lasciato alla polvere, alle intemperie o semplicemente per terra, come se ormai fosse diventato invisibile, lasciato da solo a morire, senza neanche finire di scoprire cos’era o per lo meno averci giocato un po’, che fosse stata una conchiglia, un pesce rosso, una donna... lo faceva senza accorgersene. 
Il suo animo era così: volubile,capriccioso, lo diceva lui stesso, ridendo, in quei suoi improvvisi sprazzi di felicità. Era indomabile, come un animale selvatico, lo sapeva, e se ne rattristava, non riuscendo a cambiare, accorgendosi troppo tardi che quel suo modo di fare allontanava la gente, tutti quelli che gli volevano bene, tutti quelli che subivano il suo raro fascio così nobile, impetuoso, sfuggente.. felino, e pur non volendo, in fin dei conti sempre solitario, nel suo spirito selvaggio. 

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