venerdì 23 agosto 2013

Un altro incipit... Titolo??

Doveva essere la notte più fredda di tutto l’inverno. Il vento spingeva la neve addosso al versante nord delle montagne piegando gli alberi sotto una valanga di gelidi fiocchi bianchi, stringendo tutto in una morsa di freddo impossibile da sopportare. Ma questo per lui ormai non aveva più importanza, anche se quella era stata così a lungo la sua casa, perché si trovava a sud. Il freddo umido, comunque, era pungente anche lì, in quella giovane foresta così vicina alla costa, ma la sua folta pelliccia era in grado di proteggerlo da climi ben più ostili.
Sentì un richiamo di lupi in lontananza: avevano fiutato il suo odore e stavano probabilmente avvertendo i compagni di rimanere a distanza. Potevano avvertire la sua forza, il pericolo che poteva rappresentare per loro. Tutti gli animali potevano capire che lui era diverso, qualcosa che non avrebbero mai accettato né come alleato né come un altro normale predatore.
Lui correva veloce tra gli alberi dai tronchi sottili e non se ne curava, non si curava di nulla e di nessuno. Una goccia d’acqua lo colpì scivolandogli velocemente via dal muso e prima di accorgersene era sotto la pioggia. Annusò l’aria con frustrazione: aveva fame.
Lentamente fermò la sua corsa solitaria e si mise in ascolto. Rumori stridenti e dissonanti arrivavano da lontano, appena udibili ma il lezzo che sapeva di marcio e bruciato insieme non gli lasciò ulteriori dubbi: una città. Tuttavia non era ancora così vicino perché il suo stomaco potesse tirare un sospiro di sollievo; avrebbe impiegato tutto il resto della notte per raggiungerla. Per di più, doversi addentrare in quel ammasso di pietra e cemento, che puzzava di creature chiuse in case troppo piccole una sopra all’
altra non lo stuzzicava per niente. Tanto meno gioiva dalla voglia di ritrovarsi in quelle strade innaturali dove neanche la terra aveva più lo stesso odore e colore, né fremeva per visitare l’ennesima piazza centrale così identica a tutte le altre. Ma aveva fame, moltissima fame e in quel bosco paludoso che odorava solo di pioggia e salmastro non era rimasto che qualche lupo sparuto e un pugno di volpi, entrambi i gruppi affamati quanto lui, ma ben più numerosi. Lui, poi, odiava dover mangiare dei carnivori, dei suoi simili in fondo, a cui non faceva del male se non in caso di estrema necessità. Riprese a correre con un gorgoglio frustrato, simile ad un ringhio contro se stesso, riprese ad avanzare verso quel luogo dove altri suoi simili si ammassavano e strisciavano gli uni contro gli altri in una vita che ritenevano la migliore e più completa e, come tale, negata a uno come lui.

L’orologio del municipio segnava le cinque del mattino e la campana della cattedrale batteva la prima preghiera del mattino.
L’uomo che usciva in quel momento dalla porta di servizio di un bordello di periferia aveva poco più di trent’anni e la faccia di uno che si era risvegliato dopo aver bevuto troppo in un posto che non poteva permettersi. Si stava dunque preparando a rientrare in fretta, sperando che nessuno lo venisse a cercare per i soldi che non aveva.
Fu in quel momento che vide qualcosa, una cosa molto simile ad un animale nel buio, ad un animale enorme. Per qualche secondo credette che i suoi occhi gli stessero giocando un brutto tiro e sperò che fosse solo l’effetto ritardato di tutto il vino che si era scolato; invece gli occhi della belva scintillarono nel buio. L’animale vide la paura nello sguardo porcino dell’uomo e quello fu il momento in cui scattò in avanti, attaccandolo.
Lo schiacciò a terra con la zampa anteriore, uscendo alla luce di un lampione ad olio ormai quasi esaurito. Il muso affusolato era simile a quello di un lupo, ma le zampe grosse e potenti, avevano delle unghie retrattili grosse come uncini da macellaio. La coda frustava l’aria come quella di un felino nel pieno della caccia. Tutto questo, rapportato per un’altezza che arrivava quasi al metro e mezzo al garrese, era più che abbastanza perché l’uomo morisse per la paura. La belva ringhiò al tentativo dell’uomo di sfuggirgli e gli azzannò la gola con uno schiocco secco della mascella: il grido si ridusse ad un macabro gorgoglio, mentre l’uomo affogava nel suo sangue.
La belva si fermò un attimo dopo averlo ucciso e sollevò il muso rosso di sangue, in ascolto: nessuno sembrava essersi accorto di nulla e la gente che si stava alzando, nelle casa attorno a lui, era ancora troppo intontita per... già, non avrebbero sentito comunque l’odore del sangue fresco, loro non erano come lui.
Si voltò di nuovo verso la sua preda e, con una zampata aprì la giacca a e la camicia mal abbottonata del cadavere e riprese ad affondare i denti divorando fibre muscolari e interiora. Odiava gli umani, non avevano mai un buon sapore e quello in particolare meno degli altri che aveva mangiato... e pensare che cacciarli era tanto pericoloso.
Con la coda dell’occhio catturò un luccichio sulla strada, che attirò la sua attenzione: monete. Forse non avrebbe dovuto cibarsi di quel uomo ancora per molto. Un altro morso ancora e decise che poteva trovare i meglio in qualsiasi locanda della città, quel uomo sapeva di alcol e di malato, era maglio lasciarlo perdere.
Tirò indietro la testa, starnutì, si passò una zampa sul muso per togliere un po’ di sangue e poi, veloce come un battito di ciglia, rotolò su un fianco e si trasformò in un ragazzo.
Da ragazzo si spettinò velocemente i capelli scuri di media lunghezza, fece scrocchiare il collo e le braccia: era da un po’ che non prendeva quella forma, la sua seconda forma, e come al solito la trovava piuttosto scomoda. Si grattò un orecchio e il petto, assalito dal formicolio che gli dava avere così pochi peli addosso.
Un rumore in una strada parallela a quella dove si trovava gli ricordò che doveva sbrigarsi: svestì in fretta la sua preda e indossò i suoi vestiti, anche se gli stavano larghi ed erano macchiati di sangue e di vino. La prima regola che aveva imparato a rispettare, nella sua forma umana, era che da vestiti si attirava molta meno attenzione che da nudi e lui aveva tutte le intenzioni di passare per un giovane uomo come tanti altri.

Si alzò, barcollando per i primi passi, raccolse la moneta di rame e si incamminò nella direzione della piazza principale: con lo stomaco già mezzo pieno, gli sarebbe piaciuto poter concludere con un dolce. 

Beh, l'avevo cominciato a scrivere un po' di tempo fa e allora, per quanto riesco a ricordare, c'era una storia complessa nella mia mente. Ora invece mi rimangono pochi frammenti senza un titolo e faccio fatica a ricordami la trama precisa... Ma quest'incipit mi attira ancora, quindi chissà! L'immagine non è come ho immaginato questo "animale", ma penso possa andare fino a che non avrò disegnato una versione dettagliata di questa mia creatura :)
P.S. Accetto suggerimenti per il titolo! Sono stanca di chiamare il file "storia del lupo-felino"

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