Sette anni dopo
Raktalerfryhighrt. Così suonava il suo nome alle orecchie degli umani liberi o dei Padroni. Inoltre anche se cercavano di pronunciarlo, non ci riuscivano mai bene, per cui avevano ormai da secoli rinunciato ad imparare la lingua delle creature magiche, allo stesso modo in cui la maggior parte di loro si rifiutava di imparare la lingua parlata dagli umani. Erano due linguaggi troppo distanti per essere riprodotti da bocche straniere. La piccola ibrida si era accorta da tempo che il resto delle creature tenute schiave la reputava un esserino magro e strambo, che non riusciva a dare la giusta arrogazione alle R e aveva qualche difficoltà con i suoni gutturali. “È perché sei quasi umana.” Le aveva detto la gnoma di Utgardhr che lavorava nella cucina e nella lavanderia e che non sopportava a lungo la luce del sole. Si era occupata lei della bimba in tutti quegli anni e per Raktalerfryhighrt, era la cosa più simile ad una madre che lei avesse mai conosciuto. Comunque, nonostante nelle sue vene scorresse sangue umano per tre quarti, nessuno l’aveva mai fatta sentire un’estranea, né un’emarginata. Viveva e lavorava nel seminterrato del palazzo e le era stata imposta una sola regola: mai salire le scale che portavano verso l’alto. Solo una o due volte il centauro che l’aveva presa in simpatia, l’aveva fatta uscire di nascosto e le aveva mostrato le forme dell’esterno. Gli alberi l’avevano incantata dal primo istante che li aveva scorti, c’era qualcosa di antico e familiare in loro, che sapeva essergli rimasto nell’anima insieme alla sua parte di ninfa delle montagne che aveva ereditato da sua nonna. Ma allo stesso tempo era consapevole che l’esterno era un luogo proibito per lei, quasi quanto quello al di sopra delle scale.
Tutti i giorni, mentre la cucina era in pieno fermento e lei puliva e lavava senza sosta pile e pile di recipienti e padelle, accorrevano alcune umane vestite di nero con grembiuli bianchi e portavano via i piatti stracolmi di cibo. Tempo prima aveva chiesto: - Dove portano quello che cuciniamo noi?
- Ai Padroni per cui lavoriamo. - le avevano risposto due troll all’unisono e la bambina aveva sentito un brivido risalirle la spina dorsale, sapeva che i Padroni erano esseri simili agli umani, ma con grandi poteri magici, che superavano di gran lunga quelli della maggior parte delle creature magiche. Inoltre sapeva che i Padroni avevano su ognuno di loro, qualcosa che veniva chiamato “diritto di proprietà”, il che significava che erano loro, e che avevano il diritto di trattare le creature magiche come volevano... ucciderle se volevano, o torturarle, o fare qualsiasi altra cosa. Erano creature spaventose i Padroni. Ricordava di aver visto, molto tempo prima, un vecchio fauno, rimasto a lungo segregato in una buia gabbia vicino alle cantine, il vecchio era molto bravo a raccontare storie e lei andava spesso da lui a sentirle. Poi, vennero a prenderlo delle guardie umane, alle dipendenze dei padroni, lo legarono e lo spinsero verso le scale che portano di sopra e gli dissero solo: - I Padroni vogliono cacciare.
Lei non conosceva molto bene la lingua che parlavano gli umani, ma aveva ricordato la frase, era riuscita a ripeterla quasi identica e poi aveva chiesto al centauro guardiacaccia cosa volesse dire. E lui aveva risposto con amarezza nella voce mista ad un tono di inevitabilità: - Vuol dire che lo portano nel bosco e poi lo cacciano, come faccio io con i cinghiali.
- Ma perché lo fanno!? Lui non aveva fatto nulla di male! - aveva ribattuto la bambina piena d’orrore.
- Loro si divertono così... lo fanno con tutti quando diventiamo troppo stanchi per lavorare.
Per cui aveva capito che, quando gli umani vestiti da guardie arrivano nel seminterrato, qualcuno di loro sarebbe morto. Aveva avuto moltissima paura che venissero a prendere anche lei, ma la gnoma le aveva detto dolcemente che lei era giovane, e che se mai sarebbero venuti a prendere anche lei, sarebbe stato quando già stava per morire da sola.
Tuttavia quando, in quel giorno d’inverno, arrivò una cameriera umana chiedendo di lei, la bambina non poté fare a meno di scappare a nascondersi dietro la piccola gnoma.
- Cosa volete dalla piccola? - chiese la gnoma proteggendola col suo corpo.
- Tutto il personale umano è in sciopero e, nonostante nelle villa ci siano solo la Signora e il Signorino, io non basto per fare tutto. La Signora mi ha mandato a vedere se c’era qualcuno tra voi con un aspetto tale da permettergli di lavorare per qualche settimana ai piani superiori. - rispose la cameriera frettolosa, rivolgendo un piccolo sorriso alla bambina. Raktalerfryhighrt non capì quasi nulla di ciò che disse, ma la gnoma che le faceva scudo col suo corpo rispose: - La bambina non sa nemmeno una parola nelle lingue umane, non potrebbe essere d’aiuto senza qualcuno che le traduca gli ordini dei Padroni... potrei andare con lei? -
L’umana la squadrò sdegnosa: la gnoma di Utgardhr aveva la pelle grigio-verde e capelli neri grossi come bachi da seta, era alta circa un metro e dieci e aveva sei dita a tutte e due le mani. La cameriera storse la bocca, ma poi vide gli occhi spaventati di quella bambina che sembrava tanto umana e quindi annuì.
La piccola ibrida tremava mentre saliva quelle scale che aveva sempre considerato le scale che precedono la fine, ma le parole dolci della gnoma la sostenevano impedendo che scoppiasse a piangere.
Fu un’esperienza nuova per lei, che non aveva mai neppure sognato l’interno di un palazzo come quello. Scoprì che la villa, era composta da tre piani e che aveva quindici stanze da letto riservate agli ospiti, più quelle dei Padroni: quella fu per lei la prima volta che vide com’era fatto un letto vero.
Le diedero dei vestiti puliti, che vennero ristretti alla meglio per essere adattati al suo corpicino sottile e la incaricarono di spolverare.
Nelle due settimane seguenti riuscì ad esplorare gran parte della grande residenza, e ad imparare qualche parola tecnica e alcune frasi nella lingua umana, che le consentirono di capire grossomodo gli ordini che davano le due cameriere presenti in quel momento nella villa. Con sua grande fortuna, scorse la padrona solo due volte, nelle quali si nascose in fretta, scappando nella direzione opposta. Era una donna dai capelli scuri, sempre acconciati sulla sommità del capo e indossava dei vestiti meravigliosi che sembravano essere tessuti con i fili magici delle fate (almeno questo sembrava all’ingenua bambina, che non conosceva nulla di quel mondo dominato da creature libere e potenti).
Fu probabilmente a causa dello sciopero della servitù umana che seguì, che lei e la gnoma continuarono a lavorare ai piani superiori per tutto il mese e, sempre a causa di questo, fu dovuto il suo incontro con il signorino Arthur Lorenzo Wilkinson.
sarah, prima di tutto complimenti per il libro, poi volevo sapere: cosa e' bambola di carne?? un'altro libro? una casa che stai scrivendo?
RispondiEliminaè molto intrigante.
baci
Ciao Michela, ti ringrazio per i complimenti, Bambola di carne è una delle tante storie che sto scrivendo, non sono sicura che sia abbastanza buona da farla diventare un libro, ma mi piace fantasticarci sopra, soprattutto nei mesi invernali, dato che la sua genesi ha avuto luogo in montagna... io stessa non posso dirti molto su questa storia dato che, ora come ora, conta poco più di trenta pagine. Per cui dovrai attendere con me il seguito!
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